S. POTITO MARTIRE - CONTENUTO e FORMA LETTERARIA DELLA "PASSIO SANCTI POTITI"

Dal dattiloscritto di Antonio Mottola: "San Potito martire ascolano" del 1989 si legge:

Sintesi della "Passio Sancti Potiti" secondo la prima redazione. Potito è un ragazzo cristiano di tredici anni che vive nella città di Sardica. Il padre, Hylas, pagano, tenta di indurre suo figlio all'apostasia. Potito, incrollabile nella fede di cristo, rifiuta l'ordine paterno e, rinchiuso in prigione, viene sorvegliato da un custode. Successivamente Hylas cerca di convincere Potito facendogli sapere che morirà, se non desiste dalla posizione assunta. L'imperatore Antonino ha infatti decretato la morte per chi non abiura il cristianesimo e non sacrifica agli dèi. Hylas in tutti i modi si sforzava di salvare suo figlio, ma né i tormenti del martirio né le lusinghe riuscirono a piegare l'eroico ragazzo. Alla fine è il papà che, disarmato dalla fortezza spirituale del figlio, si converte al cristianesimo.
n seguito, "nubes de coelo rapuerunt [nota di A. Mottola:" L'espressione della "Passio" - nubes de coelo rapuerunt -, indica piuttosto la dimensione spirituale di colui che per amore di cristo abbandona tutto, la casa e i genitori per aderire più fortemente a cristo. Questo desiderio, fare il bene spirituale delle anime, spinse Potito ad ecclissarsi agli occhi dei familiari e a recarsi altrove per annunziare Gesù Cristo"] et deposuerunt eum in loco qui dicitur Epirus". Qui un angelo lo prepara ad un duro scontro contro il demonio.
Il maligno in un primo tempo cresce sino all'altezza di quindici cubiti e, assumendo le sembianze di Gesù, induce Potito a ritornare nella sicurezza della casa paterna, ma il piccolo con la preghiera riesce a superare la tentazione diabolica. Poi il diavolo si tramuta in un toro ruggente, ma Potito con un segno di croce lo immobilizza e lo libera soltanto dopo aver ottenuto il giuramento secondo cui non avrebbe più lottato contro il santo.
Potito "exsuperavit" il demonio, che va via minacciandogli sofferenze e persecuzioni da parte dell' imperatore Antonino e del suo luogotenente Gelasio. Quando Potito si reca nella città di Valeria, va a sedersi proprio davanti alla porta della casa della lebbrosa Quiriaca, moglie del senatore Agatone; qui l'eunuco Giacinto, udendo le meraviglie e i miracoli compiuti dal Dio di Potito, lo invita ad entrare in casa per guarire la padrona dal morbo della lebbra. Potito, introdotto al cospetto della matrona, allaccia un lungo discorso e alla fine guarisce Quiriaca, ottenendo la sua conversione, la conversione della famiglia e di mezza città. Poi parte e si ritira su di un monte. Il diavolo, che intanto si era impossessato della figlia dell'imperatore Antonino, dice espressamente che non la lascerà se non glielo ordinerà Potito, che vive sopra un monte. A nulla servirono le preghiere che Antonino rivolse ad Apollo, ad Arpa [ nota di Mottola: "Si tratta di una divinità pagana presente solo nella "Passio" di S. Potito. Non è da sottovalutare il fatto che nella Daunia antica vi fosse un importante centro, la città di Arpi, e che, ancora oggi, in provincia di Benevento, esistono i comuni di Arpaia e di Arpaise] e a Giove; il diavolo ribatte che solo Potito potrà scacciarlo. Allora l'imperatore è costretto a mandare il preside Gelasio con dei soldati a cercare Potito. Lo trovano sul monte, attorniato e protetto da fiere selvatiche. Potito, "et manibus legatis", viene condotto alla presenza dell'imperatore e di sua figlia, a Roma. Il giovane santo, appena vide l'indemoniata, le diede uno schiaffo operandovi un autentico esorcismo. L'imperatore rimane però nella convinzione che sono stati i suoi dèi e non il Dio di Potito a liberare la figlia dal maligno. Tra i due nasce così una polemica con lunghi discorsi; Potito rimprovera l'imperatore e questi lo fa battere con le verghe spingendolo a sacrificare agli dèi e quindi all'apostasia. Il martire finge di accettare, ma quando viene introdotto nel tempio pagano e viene condotto alla presenza degli dèi di Antonino, con la preghiera, ottiene da Dio il crollo degli idoli.
L'imperatore, vistosi burlato da un ragazzo, lo fece rinchiudere in un carcere con una pesante catena al collo, ma subito un angeloviene a confortarlo. gli stessi carnefici attestano che lo vedono passeggiare nella prigione con gli angeli. Viene quindi condotto nell'anfiteatro, ma le fiere non lo toccano neppure; allora l'imperatore, pieno di rabbia, dà ordine che gli siano tagliuzzate tutte le membra. i carnefici non ci riescono e piuttosto essi stessi tagliarono ("seconaderunt") le proprie membra. Antonino poi comandò "in sartagine eum mitti et frigi in oleo" e, poiché non si riesce a vincerlo, comandò che si aguzzasse un ferro e che gli fosse conficcato sulla sommità del capo fino alla base.
Le preghiere di Potito rivolte a Gesù ottengono che nel ferro si trovi infilzato l'imperatore, che ne sarà liberato solo quando sua figlia, Agnis, verrà battezzata. Antonino, ostinato puù che mai, fa tagliare la lingua di Potito, ma questi continua a lodare Dio ed avverte l'imperatore che l'unico modo per farlo perire è quello di tagliargli la testa. L'ordine della decapitazione viene dato, ma deve essere eseguito dove vuole il martire: in Apulia, presso il fiume Calaggio, tra due sperdute "mansiones" romane, e cioè tra Sentianum e Iunianum dell'antica via Herculia, che ad Equotuticum conduceva a Venosa.
Il Mallardo ritiene che il racconto della "Passio Sancti Potiti" sia di carattere favoloso, in quanto i discorsi messi in bocca al martire sono prolissi, pieni di teologia e di apologetica, i supplizi vengono moltiplicati all'inverosimile, fino al punto che Potito supera indenne autentiche prove mortali; la assurdità della procedura giuridica evidenziano poi una spiccata sfrondatezza del santo in comune con altre "passiones" leggendarie dell' Italia meridionale [D. Mallardo, S. Potito..., p.8]. Una stretta analogia intercorre, ad esempio, tra la "Passio Sancti Potiti" e quella di san Vito [Acta Sanctorum Iunii, II, p. 1025]. Questo tipo di narrazione su San Potito, come quelle di tanti altri martiri, fa parte di quel genere letterario agiografico detto "Leggende" [Nota di Mottola: La letteratura martirologica si presenta in diversi generi letterari e in testi dal valore variabile. Questi testi possono essere classificati in tre gruppi: a) ATTI o GESTA DEI MARTIRI: questi documenti utilizzano talvolta i verbali ufficiali degli interrogatori e delle condanne dei martiri; b) le PASSIONES invece sono dei documenti redatti dalle testimonianze oculari o da quelle dei contemporanei degli di fede; c) la LEGGENDE (testi cioè da leggere durante la Liturgia9 sono state redatte in tempo posteriore, più o meno tardivo, rispetto al martirio dei santi].
Le leggende agiografiche, quanto si tratta di rimuovere ed incrementare il culto dei santi, non si sottraggono a quelli che sono i criteri propri della leggenda di ogni tempo e di ogni tipo, e che si possono così sintetizzare:
"Le leggende agiografiche si rannodano alla realtà per qualche legame storico o topografico ma, inconsciamente, gli agiografi stessi tendono a deformarli introducendovi elementi fantasiosi; trasferiscono a figure cristiane motivi più antichi e presentano in una sola persona più personaggi anonimi, cambiando ed unificando leggende diverse, senza curarsi tanto di geografia e di cronologia; lavorano su un piccolo numero di temi meravigliosi; sono frutto di due distinti fattori: l'anima popolare fantasiosa e ingenua nelle sue creazioni e lo sforzo, da parte dell'agiografo, di dare forma e verosimiglianza storica ad un materiale anonimo, appoggiandosi a fonti scritte, a tradizioni orali, a monumenti figurati e riuscendo a produrre alla fine un componimento che contiene insieme elementi della biografia e del panegirico" [N. Tarchiani, Le leggende agiografiche, in Enciclopedia Italiana Treccani, XX, Roma 1950, p. 762.39].
Il Mallardo riconduce le "Passiones" di San Potito al genere epico [D.Mallardo, S. Potito..., p.8 s.], secondo lo schema che ce ne dà il dotto bollandista belga H.delehaye (1859-1941) nelle sue varie opere classiche in materia agiografica [H.Delehaye, Le Passions des martyres et des genres litteraires, Bruxelles 1912, Cinq lesons sur la méthode hagiographique, Bruxelles 1934; les legendes hagiographiques, Bruxelles 1905]. Il Delehaye divise le "Passiones" dei martiri in quattro classificazioni: epiche, avventurose, idilliaco-familiari e didattiche. Nella prima classificazione, cui viene ricondotta la "Passio" di San Potito, il martire è un eroe da epoca, converte migliaia di pagani, fa crollare templi, abbatte statue degli dèi, supera tormenti impossibili, confuta magistrati e sacerdoti e non muore se non di spada. Bisogna francamente riconosce al Delehaye il merito di aver stabilito una corretta metodologia interpretativa delle leggende agiografiche con un autentico senso critico, rispetto alle posizioni difensive della Scuola dei Conservatori [Nota di Mottola: "I Conservatori sostengono che sacrificare le narrazioni di un santo equivale a mettere in serio dubbio l'esistenza storica del santo stesso"] e alle esagerate ed inammissibili posizioni della Scuola degli ipercritici [Nota di Mottola: "Sono dei filologi che non hanno nessun rispetto per i santi, disdegnano l' argomento liturgico (di cui ignorano la portata) e quando si trovano di fronte a rapsodie agiografiche hanno la sola risorsa di cancellare il santo dal calendario. Eppure si sa che le fonti relative ai secoli del primo Medioevo sono, in tutti i campi, molto scarse, e se si applicasse in ciascuno di esso lo stesso metodo ipercritico che si vorrebbe impiegare per i santi, ben poco rimarrebbe di conoscibile per lo storico"].
La Scuola critica considera il metodo, appunto, critico come unica strada da seguire per uscire dall'ingarbugliato mondo delle leggende agiografiche perché si preoccupa unicamente di mettere ogni cosa al suo posto e di precisare la portata storica sei documenti di cui dispone. Il metodo critico ritiene il dato topografico ed il dato cronologico come gli unici elementi più sicuri per assicurarsi dell'identità di un santo. nello scrivere per la chiesa stessa che il santo ha onorato con il suo sacrificio, l'agiografo non poteva sbagliarsi su questi due elementi del culto: il primo, costantemente sotto gli occhi, cioè la tomba del santo; il secondo, che gli viene ricordato ogni anno mediante la celebrazione della festa.
Il Delehaye conferma che sono precisamente due le coordinate che permettono di identificare il santo: l'indice topografico e la data dell'anniversario [H.Delehaye, Cinq lesons sur la méthode hagiographique, Bruxelles 1934, pp.7,13]. Il Mostardi, da parte sua, sostiene che nella "Passio Sancti Potiti" i dati storico-geografici, considerati e giudicati da certa critica come stravaganti ed irreperibili presso gli antichi scrittori, sono, invece, da ricercare con accurata pazienza. Basta consultare i classici e ben noti "Itinerari romani" per rendersi conto dell'esatta precisione dei dati nel determinare i luoghi della vita e del martirio di San Potito. Bisogna allora convenire, come attesta il Mostardi, che stravagante sia non la "Passio", ma certa critica fondata sull'ignoranza di elementi di storia e geografia [Mostardi, San Potito ragazzo martire, Venezia 1969, p.9]. Sarebbe più esatto dire, come fanno i Bollandisti, di non sapere, anziché velare di pseudocritica "la propria ignoranza" [Acta Sanctorum Ianuarii, p.753, n.6].